lunedì 16 dicembre 2013

Giusta causa di licenziamento – Delitto – Sussistenza – Cass. 4 dicembre 2013, n. 27129

E’ legittimo il licenziamento intimato ad un lavoratore, coinvolto in una sparatoria, per giusta causa .

Tale episodio secondo la Corte di Cassazione 4 dicembre 2013, n. 27129 è obiettivamente e soggettivamente assai grave, concretando gli estremi di cui all'art. 2119 c.c., per i quali non assume rilievo la circostanza che il lavoratore rimanga professionalmente idoneo allo svolgimento delle mansioni.

Per la Corte, dunque, un delitto commesso anche i fuori dell'ambiente lavorativo consente il licenziamento, valutata ovviamente la “gravità”

venerdì 13 dicembre 2013

Trasformazione del balcone in una veranda – Decoro architettonico – Cass. 4 dicembre 2013, n. 27224

Lede il decoro architettonico dello stabile la trasformazione del balcone in una veranda di vetri e con la struttura in alluminio.

Secondo la Corte di Cassazione  4 dicembre 2013, n. 27224, infatti, una simile operazione altera, ossia peggiora, la sagoma dello stabile e l’estetica dello stesso.

Per considerarla legittima l’installatore deve provare che l’installazione non altera il decoro dell’edificio. 

L’onere della prova è, quindi, a carico di colui che trasforma il balcone in veranda. Prova che ritengo veramente difficile.

giovedì 12 dicembre 2013

Licenziamento a causa del matrimonio – Nullità – Cass. 3 dicembre 2013, n. 27055

Il licenziamento intimato a causa del matrimonio è nullo. E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 3 dicembre 2013, n. 27055.

L'art. 1 legge n. 7 del 1963 dispone, infatti, la nullità dei licenziamenti attuati a causa del matrimonio, specificando al comma 3 che si presuma a causa di matrimonio il licenziamento della dipendente nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio a un anno dopo la celebrazione; la presunzione di nullità riguarda ogni recesso che sia stato 'deciso' nell'arco temporale indicato per legge, indipendentemente dal momento in cui la 'decisione' di recesso sia stata attuata.

mercoledì 11 dicembre 2013

Decadenza e Prescrizione – Decorrenza - Cass. 28 novembre 2013 n. 26685

La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sulla decorrenza della prescrizione in materia di risarcimento del danno (Cass. 28-11-2013, n. 26685).

Secondo la Corte il testo degli artt. 2947 e 2935 c.c. deve essere letto ed interpretato nel senso che, al fine di esercitare il diritto al risarcimento del danno, occorre che il danneggiato sia adeguatamente informato non solo dell'esistenza del danno stesso, ma anche dei fatti che ne determinino l'ingiustizia, non potendo altrimenti riscontrarsi nella sua condotta l'atteggiamento di inerzia che giustifica il decorrere della prescrizione.

In sostanza, per la Suprema Corte, la prescrizione nelle cause di risarcimento del danno inizia a decorrere quando la parte viene effettivamente a conoscenza del fatto che determina l’ingiustizia.

Nel caso affrontato dalla Suprema Corte  una tale conoscenza non può ritenersi acquisita in data anteriore a quella in cui è stato depositato un provvedimento sanzionatorio a carico delle compagnie assicuratrici, poiché solo tale provvedimento ha reso pubblicamente noti gli estremi di un'intesa illecita, idonea a determinare i negativi effetti insiti nella violazione delle regole della concorrenza.

martedì 10 dicembre 2013

Assegno divorzile – Valutazione ponderata e bilaterale dei criteri enunciati dalla legge – Cass. 27 novembre 2013, n. 26491

L’assegno periodico di divorzio, nella disciplina introdotta dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 10, modificativo della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, ha carattere esclusivamente assistenziale. La sua attribuzione trova presupposto nell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza dei medesimi, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza cioè che sia necessario uno stato di bisogno, e rilevando invece l'apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate. Ove sussista tale presupposto, la liquidazione in concreto dell'assegno deve essere effettuata in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri enunciati dalla legge.

In ordine all'attribuzione dell'assegno di divorzio, il giudice del merito, purché ne dia adeguata motivazione e giustificazione, non deve tenere conto di tutti i criteri previsti normativamente, anche in relazione alle deduzioni ed alle richieste delle parti, salva restando la valutazione della loro influenza sulla misura dell'assegno de quo.

E’ quanto stabilito dalla Corte di legittimità con la sentenza 27 novembre 2013, n. 26491.

Nel caso di specie la suprema Corte ha “cassato” la sentenza della Corte territoriale in quanto incorsa nella violazione del principio sopra indicato.

Secondo la Corte di legittimità la Corte territoriale ha applicato in maniera indistinta, confondendoli fra loro, i criteri di attribuzione e quelli di quantificazione, nella parte in cui ha giustificato l'attribuzione dell'assegno, sia pure in misura ridotta rispetto a quella determinata nella decisione di primo grado, "tenendo conto .. delle ulteriori, e pur complementari ed accessorie, funzioni dell'assegno divorzile”.

lunedì 9 dicembre 2013

Giusta causa – Licenziamento – Lettera - Assenza ingiustificata – Configurabilità – Cass. 18 novembre 2013, n. 25824

Secondo la Corte di legittimità (Cass. 18 novembre 2013, n. 25824) la giusta causa di licenziamento deve essere provata dal datore di lavoro.

Al fine di stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa di licenziamento è necessario valutare la gravità dei fatti ascritti al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati posti in essere ed all'intensità dell'elemento intenzionale. Altresì, occorre valutare la proporzionalità fra tali atti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare.

Nel caso affrontato dalla Corte la giusta causa di licenziamento è stata provata da parte del datore di lavoro.

Invero, il lavoratore ha protratto un’assenza per più di dieci giorni, nonostante l’esistenza del dato oggettivo e relativo alla mancata presentazione al lavoro a seguito di regolare invio della raccomandata, che intimava al lavoratore a riprendere servizio, presso il luogo dove secondo legge la stessa doveva essere recapitata.

Il datore di lavoro è, durante il corso del giudizio, riuscito a provare la ricezione (comunque presunta) da parte del lavoratore della lettera raccomandata che intimava la ripresa del servizio.

Sotto il profilo dell'elemento intenzionale tale atteggiamento del lavoratore ha integrato un comportamento idoneo tale da determinare un senso di perdurante sfiducia nei confronti del lavoratore.

Tutte le convinzioni del lavoratore sono stati ritenuti irrilevanti. 

Ogni conseguenza negativa è stata, infatti, considerata imputabile unicamente al predetto lavoratore, che avrebbe dovuto predisporre, secondo un principio di buona fede e di ordinaria diligenza, meccanismi idonei a rendere a lui conoscibile ogni comunicazione datoriale.

venerdì 6 dicembre 2013

Addebito della separazione – Shopping compulsivo – Esistenza – Cass. 18 novembre 2013 n. 25843

La Corte di Cassazione (Cass. 18-11-2013, n. 25843) si occupa di un curioso caso avente ad oggetto il c.d. “shopping compulsivo” da parte del coniuge quale causa di addebito della separazione.

Secondo la Corte la patologia dello shopping compulsivo, quale disturbo della personalità caratterizzato da un impulso irrefrenabile ed immediato ad acquistare e da una tensione crescente, alleviata soltanto con l'acquisto di beni mobili, della quale il coniuge sia pienamente consapevole, tale da potersi ritenere capace di intendere e di volere, configura violazione dei doveri matrimoniali, ai sensi dell'art. 143 c.c., e costituisce giusta causa di addebito della separazione.

Nel caso di specie il CTU nel corso del procedimento aveva determinato che la coniuge manifestava una nevrosi caratteriale repressa  caratterizzata da un impulso irrefrenabile ed immediato ad acquistare e da una tensione crescente, alleviata soltanto acquistando appunto beni mobili.

Azioni a tutela della proprietà e del godimento – Singolo condomino – Integrazione del contraddittorio – Esclusione - Cass. 13 novembre 2013 n. 25454

Un singolo comproprietario può agire singolarmente per la tutela del proprio interesse? E’ necessaria la partecipazione in giudizio di tutti gli altri condomini?

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite (con la sentenza 13 novembre 2013, n. 25454) risolve definitivamente il contrasto sorto in passato tra le sezioni semplici della stessa Corte.

La Corte ha ritenuto chiaro e condivisibile l'orientamento, risalente agli anni '50, secondo cui le azioni a tutela della proprietà e del godimento della cosa comune e in particolare l'azione di rivendica possano essere promosse anche soltanto da uno dei comproprietari, senza che si renda necessaria l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini (Cass. 2106/00; 11199/00; 4354/99).

Aderendo a tale interpretazione contrapposta a quelle enunciata da (Cass. 8666/01; 2925/01; 8468/00; 8119/99; 4520/98; 12255/97; 10609/96) la Suprema Corte ha enunciato il seguente principio di diritto “le azioni a tutela della proprietà e del godimento della res comune ed, in particolare, l’azione di rivendica possono essere promosse anche soltanto da uno dei comproprietari, senza che sia necessario l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini. Ciò sia perché il diritto di ogni partecipante al condominio ha per oggetto la res comune intesa nella sua interezza, pur se entro i limiti dei concorrenti diritti altrui, sia perché spetta ad ogni condomino la tutela dei diritti comuni.

Mantenimento dei figli – Maggiore età – Indipendenza economica – Rifiuto ingiustificato svolgimento attività economica - Prova – Necessità - Cass. 29 ottobre 2013, n. 24424

La Corte di Cassazione (Cass. 29 ottobre 2013, n. 24424) ha chiarito che l'obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli, secondo le regole degli artt. 147 e 148 c.c., non cessa, "ipso facto", con il raggiungimento della maggiore età da parte di questi ultimi, ma perdura, immutato, finché il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell'obbligo stesso non dia la prova che il figlio ha raggiunto l'indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un'attività economica dipende da un atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato dello stesso.

Nel caso di specie nei giudizi di merito era stata rigettata la richiesta da parte del coniuge che deduceva che lo stato di disoccupazione era tale da non consentirgli il versamento del predetto assegno in favore dei figli che ormai svolgevano entrambi attività lavorativa e potevano considerarsi indipendenti.