martedì 20 dicembre 2022

Apparenza della servitù – Acquisto per usucapione – Cass. 10 novembre 2022 n. 33198

La Suprema Corte torna a pronunciarsi in materia di apparenza della servitù.

Secondo la sentenza di Corte di Cassazione in commento il requisito dell'apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio rivelanti, in modo non equivoco, l'esistenza del peso gravante sul fondo servente, così da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di un preciso onere a carattere stabile. Ne consegue che, per l'acquisto in base a dette modalità di una servitù di passaggio, non basta l'esistenza di una strada o di un percorso all'uopo idonei, essendo, viceversa, essenziale che essi mostrino di essere stati realizzati al preciso scopo di dare accesso al fondo preteso dominante attraverso quello preteso servente ed occorrendo, pertanto, un "quid pluris" che dimostri la loro specifica destinazione all'esercizio della servitù.

Nel caso affrontato dalla Corte di legittimità è stata confermata la sentenza d’appello nella parte in cui è stato accertato il “quid pluris” da una serie di elementi di fatto emergenti dalla disposta Ctu.

In particolare nel giudizio di merito è stato evidenziato in particolare, dall'esame della mappa di impianto catastale, che il sentiero, dopo avere attraversato il fondo, “si ferma in corrispondenza del tratto finale del terreno” “e non risulta proseguire oltre”. 

giovedì 15 dicembre 2022

Definizione di atto sessuale – Cass. 2 novembre 2022 n. 45242

 La Corte di Cassazione con la sentenza in commento si pronuncia sul concetto di atto sessuale utile ai fini dell'integrazione del reato di violenza sessuale.

Secondo la pronuncia in commento rientra nell'accezione di atto sessuale non soltanto ogni forma di congiunzione carnale, ma altresì qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, ancorché fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo, o comunque coinvolgente la corporeità sessuale del soggetto passivo, sia finalizzato ed idoneo a porre in pericolo la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale.

Non ha, invece, rilievo determinante, ai fini del perfezionamento del reato, la finalità del soggetto attivo e l'eventuale soddisfacimento del piacere sessuale.

venerdì 2 dicembre 2022

Definizione di cortile condominiale – Cass. 28 ottobre 2022 n. 31995

 La Corte di Cassazione con la sentenza in commento si pronuncia sul concetto di cortile condominiale.

In particolare secondo la pronuncia in commento, viene intesa come cortile, ai fini dell'inclusione nelle parti comuni dell'edificio elencate dall'art. 1117 c.c., qualsiasi area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serva a dare luce e aria agli ambienti circostanti, o che abbia anche la sola funzione di consentirne l'accesso, o sia destinata a spazi verdi, zone di rispetto, parcheggio di autovetture.

Pure le aree da destinare obbligatoriamente ad appositi spazi a parcheggi, ai sensi della speciale normativa urbanistica dettata dall'art. 41-sexies della l. n. 1150 del 1942, introdotto dall'art. 18 della l. n. 765 del 1967, globalmente considerate, devono essere ritenute parti comuni dell'edificio condominiale ai sensi dell'art. 1117 c.c., come peraltro risulta testualmente dallo stesso articolo successivamente all'entrata in vigore della l. n. 220 del 2012.

Secondo la Corte di legittimità la presunzione legale di comunione, stabilita dall'art. 1117 c.c., si reputa inoltre operante anche nel caso di cortile strutturalmente e funzionalmente destinato al servizio di più edifici limitrofi ed autonomi, tra loro non collegati da unitarietà condominiale.

Impugnazione del testamento – Incapacità del testatore – Onere della prova – Cass. 17 novembre 2022 n. 33914

La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul tema della capacità del testatore nel momento in cui viene redatto il testamento.


Secondo la pronuncia in commento l’incapacità naturale del testatore postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell'atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi; poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l'eccezione, spetta a chi impugni il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo e delle cause idonee in linea di principio a determinarla.


Nel caso trattato dalla Corte, i giudici di merito avevano ritenuto che – seppur la testatrice avesse “dei momenti in cui non era vigile” e tenesse dei “comportamenti abnormi e indicativi” di un’alterazione delle sua facoltà mentali” -, non era stata raggiunta la prova che al momento della formazione della scheda testamentaria la stessa testatrice era incapace di intendere e di volere ovvero avesse del tutto perso la capacità di autodeterminazione libera e cosciente della al tempo della redazione del testamento.


Il giudice di merito, dinanzi al quale è richiesto l’annullamento del testamento per incapacità naturale del testatore ben può convincersi che gli elementi acquisiti alla causa diano ugualmente la prova della capacità del testatore nel momento in cui fece testamento, senza incorrere con ciò in alcuna contraddizione indipendentemente dal fatto che non sia stata data prova di una incapacità totale e permanente del testatore, tale da giustificare la presunzione di incapacità e la conseguente inversione dell’onere della prova.


I Giudici di legittimità confermavano, dunque, la sentenza di merito che non ha riconosciuto nel testatore l’esistenza di una patologia tale da compromette, in termini generali, in modo permanente la capacità della testatrice, essendoci comunque, nel caso di specie la prova che ella era capace quando fu ricevuto il testamento.