mercoledì 23 novembre 2022

Utilizzo di banconote false – Falso grossolano – Cass. 12 ottobre 2022 n. 42886

La Corte di legittimità si è pronunciata in materia di banconote false e in merito al concetto di reato impossibile per inidoneità della condotta.

Il caso trattato dalla Corte ha avuto ad oggetto la spendita di una banconota falsa di dieci euro.

La difesa dell’imputato è stata impostata sulla “grossolanità” del falso della moneta in quanto la stessa era priva di filigrana e, dunque, era facilmente riconoscibile da colui che è stata consegnata.

La Corte ha, invece, confermato la condanna all’imputata in quanto non era facilmente e immediatamente riconoscibile la falsità.

Secondo i Supremi Giudici, infatti, la “grossolanità” implica il riconoscimento immediato della falsità da parte di qualunque persona dotata di comune avvedutezza e l'assenza di filigrana non costituisce circostanza di per sé sufficiente ad escludere la idoneità della banconota ad ingannare la fede pubblica nell'ambito della normalità degli scambi commerciali, dipendendo piuttosto la facile riconoscibilità della falsità anche dalle altre caratteristiche della banconota (quali ad esempio il tipo di carta, la presentazione in fotocopia, ecc.).

I Giudici di merito hanno, dunque, ben applicato i principi esposti dalla giurisprudenza di legittimità nella parte in cui hanno ritenuto che la banconota si presentava solo priva di filigrana ma nel resto era del tutto corrispondente alle caratteristiche grafiche di una banconota autentica.

La grossolanità della contraffazione, che dà luogo al reato impossibile, si apprezza solo quando il falso sia íctu oculi riconoscibile da qualsiasi persona di comune discernimento ed avvedutezza e non si debba far riferimento né alle particolari cognizioni ed alla competenza specifica di soggetti qualificati, né alla straordinaria diligenza di cui alcune persone possono esser dotate (Sez. 1, n. 41108 del 24/10/2011, Borrello, Rv. 251173).

Sicché si ha reato impossibile per inidoneità della condotta allorché la grossolanità della contraffazione renda il falso così evidente da escludere la stessa possibilità, e non soltanto la probabilità, che lo stesso venga riconosciuto da una qualsiasi persona di comune discernimento e avvedutezza.

mercoledì 16 novembre 2022

Coltivazione di cannabis sativa – Vietata l’estrazione e commercializzazione di foglie – Cass. 13 ottobre 2022 n. 43104

La Corte di Cassazione torna ad occuparsi della cannabis sativa ad uso agroalimentare.

In particolare si precisa sull'argomento che la legge del 2 dicembre 2016, n. 242, permette la libera coltivazione di erba legale (Cannabis sativa), ovvero con contenuti di THC (tetraidrocannabinolo) inferiori al 0,2%.

Secondo la pronuncia in commento la coltivazione della cannabis sativa ad uso agroalimentare, promossa dalla legge n. 242/2016, è stata definita non solo «mediante l'indicazione della varietà di canapa di cui si tratta», ma anche «in considerazione dello specifico ambito funzionale dell'attività medesima».

Tale ambito funzionale non contempla l'estrazione e la commercializzazione di alcun derivato con funzione stupefacente o psicotropa.

Secondo i Supremi Giudici, dunque, ne consegue che dalla coltivazione di cannabis sativa L. non possono essere lecitamente realizzati prodotti diversi da quelli elencati dall'art. 2, comma 2, legge n. 242 del 2016 e, in particolare, tale coltivazione non può essere destinata alla commercializzazione di «foglie, infiorescenze, olio e resina»

Affinché una coltivazione possa considerarsi lecita non è sufficiente che riguardi cannabis sativa L. proveniente da semenze certificate, è anche necessario che la coltivazione non sia destinata alla commercializzazione di foglie, infiorescenze, olio e resina, ma sia finalizzata a realizzare una delle categorie di prodotti elencate dall'art. 2/comma legge n. 242/2016.

Nel caso trattato dalla Corte è stato ritenuto integrato il reato in quanto in un’azienda agricola fu rinvenuta una grande quantità di infiorescenze mese a seccare in scatole di cartone e un capannone di circa 500 mq. E tale capannone risultò «adibito alla lavorazione e allo stoccaggio delle infiorescenze di canapa».


martedì 15 novembre 2022

Nullità virtuale del contratto – Differente forma di invalidità – Rimedi diversi previsti dalla legge – Esclusione – Cass. 11 novembre 2022 n. 33368

 

La Corte di Legittimità torna a pronunciarsi sul tema relativo alla nullità virtuale del contratto.

Secondo gli ermellini in tema di c.d. nullità virtuale, la violazione di disposizioni inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità unicamente ove non sia altrimenti stabilito dalla legge.

Questo esito va escluso sia quando risulti indicata una differente forma di invalidità (ad esempio, l’annullabilità) sia ove la legge assicuri l’effettività della norma imperativa con la previsione di rimedi diversi.

Nel caso trattato dalla Corte di legittimità, era stata chiesta la dichiarazione di nullità del contratto di vendita di un immobile per violazione del d.lgs. n. 231/2007 sull’antiriciclaggio, stante il pattuito pagamento del prezzo in contanti.

Secondo i Giudici di legittimità la sentenza impugnata merita conferma nella parte in cui ha ritenuto non applicabile l’art. 1418 c.c., poiché l’infrazione contestata era sanzionata in via amministrativa.

mercoledì 9 novembre 2022

Individuazione del confine tra i fondi – Atti di frazionamento – Altri mezzi di prova solo in assenza dei titoli di proprietà – Cass. 07 novembre 2022 n. 32726

La cassazione in commento chiarisce che il giudice nell’azione diretta all’individuazione del confine deve prima esaminare i titoli di provenienza e gli atti di frazionamento e poi può ricorrere ad altri mezzi di prova in assenza o quando questi ultimi sono insufficienti.

Secondo la Suprema Corte nell'indagine diretta all'individuazione del confine tra due fondi riveste importanza fondamentale il tipo di frazionamento allegato ai singoli atti di acquisto ed in essi richiamato con valore vincolante, sicché il giudice può ricorrere ad altri mezzi di prova soltanto nel caso in cui le indicazioni desumibili dai rispettivi atti di provenienza siano mancanti o insufficienti.

Nel caso di specie i Supremi Giudici hanno cassato la sentenza della Corte d’Appello nella parte in cui sono stati valorizzati altri mezzi di prova (consulenza tecnica d’ufficio e le deposizioni di una serie di testi), senza che nella parte motiva vi sia traccia dell’esame dei rispettivi titoli di proprietà, il cui scrutinio il giudice di merito avrebbe dovuto comunque effettuare stante l’allegazione dei rispettivi atti a prescindere dalla decisione finale.

Post. a cura dell'Avv. Francesco Ioghà