L’assegno
periodico di divorzio, nella
disciplina introdotta dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 10, modificativo della
L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, ha carattere esclusivamente assistenziale. La
sua attribuzione trova presupposto nell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge
istante, da intendersi come insufficienza dei medesimi, comprensivi di redditi,
cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre, a conservargli un
tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza cioè che
sia necessario uno stato di bisogno, e rilevando invece l'apprezzabile
deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni
economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate. Ove sussista
tale presupposto, la liquidazione in concreto dell'assegno deve essere
effettuata in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri
enunciati dalla legge.
In
ordine all'attribuzione dell'assegno di divorzio, il giudice del merito, purché
ne dia adeguata motivazione e giustificazione, non deve tenere conto di tutti i
criteri previsti normativamente, anche in relazione alle deduzioni ed alle
richieste delle parti, salva restando la valutazione della loro influenza sulla
misura dell'assegno de quo.
E’
quanto stabilito dalla Corte di legittimità con la sentenza 27 novembre 2013,
n. 26491.
Nel
caso di specie la suprema Corte ha “cassato” la sentenza della Corte
territoriale in quanto incorsa nella violazione del principio sopra indicato.
Secondo
la Corte di legittimità la Corte territoriale ha applicato in maniera
indistinta, confondendoli fra loro, i criteri di attribuzione e quelli di
quantificazione, nella parte in cui ha giustificato l'attribuzione
dell'assegno, sia pure in misura ridotta rispetto a quella determinata nella
decisione di primo grado, "tenendo conto .. delle ulteriori, e pur
complementari ed accessorie, funzioni dell'assegno divorzile”.
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